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Prodotti: il Nocino

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Il nocino è un infuso di noci acerbe, raccolte, secondo la miglior tradizione, nei giorni vicini alla festa di San Giovanni, il 23 giugno, messe in infusione in alcol con aggiunta di zucchero e, in piccole quantità, di aromi quali cannella, chiodi di garofano, scorza di limone, macis, ecc..
Quando i romani invasero la Britannia vi trovarono uno strano popolo che, per l’uso che avevano di dipingersi il volto e di tatuarsi il corpo, chiamarono Picti (dipinti ).
Questo popolo usava bere, specialmente nella notte del solstizio d’estate durante riti particolari, uno strano liquido scuro che li rendeva particolarmente euforici, un infuso di noci acerbe in miele e frutta fermentati, era l’antenato del nocino.

La tradizione del nocino a Noceto è molto antica, qualche leggenda la fa risalire ai legionari romani che ne avrebbero importato la ricetta dalle Gallie; altri lo fanno risalire a un soldato di ventura alle dipendenze dei signori di Noceto. Questi avrebbe consigliato il prezioso infuso ad un cavaliere desideroso di conquistare il cuore di una nobile dama. Naturalmente il cavaliere ebbe successo.
Infine perché non pensare che i celti, che hanno dimorato sul territorio nocetano, abbiano insegnato a fare l’infuso agli abitanti di Noceto; la leggenda che vuole che a raccogliere le noci sia, all’alba del solstizio d’estate, una vergine a piedi nudi,richiama molto i riti dei druidi, i sacerdoti dei celti.
Si fa risalire il toponimo Noceto all’esistenza, al tempo dei romani che lo chiamavano Noxetum, di numerosi boschi di noci e le persone più anziane ricordano che, all’inizio del XX secolo, i viali d’ingresso al paese erano ancora di alberi di noce.
Tra tante leggende e supposizioni resta indubbia una cosa, la ricetta del”Nocino di Noceto” viene da una famiglia, la famiglia Cotti, che risiede nel comune da più di 400 anni.

Il “Nocino di Noceto” è stato riconosciuto dalla regione Emilia Romagna come prodotto tradizionale, la notizia è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Le noci devono essere raccolte preferibilmente nella notte tra il 23 e il 24 giugno, la notte di San Giovanni Battista: la notte, cioè, più corta dell’anno, che segna la vittoria del sole sulle tenebre e la massima vitalità delle piante.
Un’antica credenza vuole inoltre che la rugiada (guazza) formatasi nella notte fra il 23 e il 24 giugno sia una panacea per ogni male, specie per i problemi dell’apparato digerente e per i disturbi gastro-intestinali, per i quali il liquore di noci è considerato un rimedio eccellente. La raccolta viene effettuata quando la maturazione non è ancora completa, e il mallo (cioè il rivestimento esterno del frutto) risulta verde e tenero. Le noci col mallo vengono poi tagliate, o comunque rotte, e messe in infusione in contenitori a chiusura ermetica, pieni di alcool puro a 96 gradi; nell’infuso possono venire aggiunti anche cannella, chiodi di garofano, noce moscata, corteccia di limone, naturalmente zucchero e – in alcuni casi – chicchi di caffè. L’infuso viene poi maturato al sole, o comunque in un luogo caldo e asciutto, per 40-60 giorni.
Successivamente viene fatto oggetto di una o più filtrazioni controllate, per chiarificarlo, e viene portato alla gradazione desiderata mediante l’aggiunta di acqua pura. Al consumo, il nucillo – nocino si presenta limpido, di colore bruno scuro più o meno accentuato, di profumo intenso con sentore di noce e di sapore aromatico, gradevole e persistente, tipico della noce immatura.

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Celebre in tutto il mondo

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È il prodotto tipico delle Terre matildiche che si estendono tra la via Emilia e il letto del fiume Enza. È celebre in tutto il mondo e si contraddistingue oltre per le peculiarità nutrizionali anche per la “corona”, il marchio che viene impresso a fuoco solo sull’originale.
CHE COS’È?

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CENNI STORICI:
La tradizione plurisecolare degli insaccati risulta ordinata, come attività a sé stante, solo alla fine del Medioevo, dall’Arte dei Lardaroli, originatasi per specializzazione dalla più forte Arte dei Beccai. Ma la fama del Prosciutto di Parma, esclusiva specialità dei lardaroli Parmensi, affonda le sue radici in tempi ancor più lontani, all’epoca romana. Parma, allora situata nel cuore di quella che era la Gallia Cisalpina, era rinomata, come ricorda Varrone nel De Re Rustica, per l’attività dei suoi abitanti che allevavano grandi mandrie di porci ed erano particolarmente abili nel produrre prosciutti salati. Lo stesso Catone delinea già nel II secolo a.C., nel suo De Agricoltura la tecnologia di produzione, sostanzialmente identica all’attuale. Risalendo il corso dei secoli, del prosciutto e della tecnica di preparazione parlarono Polibio, Strabone, Orazio, Plauto e Giovenale. John B. Dancer scrive che quando Annibale nel 217 a.C. entrò in Parma e fu accolto come liberatore, gli abitanti per festeggiare gli offrirono delle cosce di maiale conservate sotto sale dentro dei barili di legno che lui apprezzò moltissimo. Riferimenti gastronomici al Prosciutto di Parma si trovano nel libro de Cocina della seconda metà del Trecento, nel menu delle nozze Colonna del 1589, nel prezioso testo del Nascia, cuoco di Ranuccio Farnese nella seconda metà del XVII secolo. Il Prosciutto fa capolino tra le rime del Tassoni e nei consigli dietetici del medico bolognese Pisanelli. Il Primo Ministro di don Filippo di Borbone, Guglielmo Du Tillot, aveva studiato un piano per la realizzazione, a Parma, di due macelli per suini, per valorizzare ed incrementare la locale industria dei salumi. Lo sviluppo di questa tradizione fu senz’altro influenzato dalla presenza nella zona di Parma di sorgenti saline come ad esempio quelle di Salsomaggiore La primitiva fase, interamente artigianale, si è progressivamente sviluppata fino ai nostri giorni verso un processo di industrializzazione che, migliorando sensibilmente le condizioni igieniche, ha saputo mantenere intatte le caratteristiche tradizionali del prodotto.

ORIGINE DEL NOME:
Nel territorio parmense in dialetto locale il termine “prosciutto” si dice “pàr-sùt”, cioè “sembra asciutto”, a causa della stagionature della carne che, oltre ad arricchirsi di una percentuale di sale, perde molta acqua ed in questo modo la carne si asciuga, “pèra sùta”, “sembra asciutta”. Altra scuola di pensiero vuole che il nome venga dal latino Perex Suctum che significa “prosciugato”, tale teoria viene avvalorata rispetto alla precedente dal fatto che il dialetto Parmigiano e con essa la parola “pàr-sùt” è senz’altro più giovane del prodotto “prosciutto”. Inoltre quest’ultima teoria è stata adottata ufficialmente dal consorzio Prosciutto di Parma.

PRODUZIONE:
Il Prosciutto di Parma conta su circa 200 produttori concentrati nella parte est della provincia di Parma, in particolare nella zona di Langhirano. Le fasi di allevamento e ingrasso degli animali nonché il trattamento e la stagionatura successivi sono regolati e garantiti dal consorzio. Vengono usate solo cosce di grande peso (fresche pesano tra i 12 e i 13 kg). Viene anche chiamato prosciutto dolce in quanto viene aggiunta una bassa quantità di sale durante la lavorazione. La salatura è accompagnata da un breve periodo di riposo in celle frigorifere e seguita dal cospargimento di un grasso surrenale pregiato, la sugna, ricavata dal maiale. Questo garantisce una lenta asciugatura, così che il produttore può stagionare la coscia per lungo tempo (minimo 12 mesi), aggiungendo poco sale. A stagionatura completata, il prodotto disossato dovrebbe uscire sul mercato con un peso compreso tra i 7 kg e gli 8 kg, mentre il prodotto con osso dovrebbe pesare tra i 9,5 kg e i 10,5 kg. I Prosciutti di Parma con un peso che si discosta molto da quelli appena menzionati, hanno un valore commerciale inferiore.

(fonte: Wikipedia)

Elogio della bicicletta (e della Bassa)

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biciUna delle immagini più evocative che contraddistinguono la Bassa parmense, terra di storia e sapori, è innegabilmente la bicicletta. Vecchie grazielle un po’ sgangherate con cui tuttora è un piacere percorrere gli argini del Po, le strade bianche attraverso i campi e gli acciottolati dei centri storici, all’ombra di porticati che sembrano non finire mai.

Non è raro trovare foto d’archivio che documentino quanto questo mezzo di trasporto abbia contrassegnato generazioni e generazioni che, soprattutto a partire dall’inizio del ‘900, hanno viaggiato a cavallo di due ruote, due pedali e con il vento tra i capelli.
Nonni e bisnonni di tutte le famiglie parmensi hanno almeno un aneddoto di vita che racconta di biciclette: una scampagnata in due, con la fidanzata appesa alla canna o seduta sul portapacchi; le staffette antifasciste, le donne che caricavano la bicicletta di borse nei giorni di mercato. E, ancora, fughe d’amore o dalle piene del Po, traslochi, pendolari che della bicicletta hanno fatto necessità e virtù.

Sono molte le città dell’Emilia dove la bicicletta rimane il mezzo di trasporto più diffuso e usato, soprattutto per muoversi in città: Parma è tra queste.
I motivi sono tanti: comoda, pratica, facile da parcheggiare, zero spese, zero consumi e, aspetto non da sottovalutare, un aiuto all’attività fisica. Senza considerare il buon umore che sa scatenare una pedalata, indipendentemente dalle condizioni atmosferiche.

Anche il mondo del cinema ha saputo raccontare il fascino e la semplicità della vita a due ruote (senza motore) con alcune scene entrate a far parte nella storia della cinematografia: