Curiosità dal territorio: Violetta di Parma
Il suo profumo è inconfondibile, il suo nome associato indelebilmente al territorio parmigiano: è la Violetta di Parma, famosa, ricercata e apprezzata in tutto il mondo.
Da cosa nasce la sua fama?
Maria Luigia d’Austria, seconda moglie di Napoleone Bonaparte, fu duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla dal 1816 al 1847. Il suo governo saggio ed attento alle esigenze del popolo la rese molto amata dai suoi sudditi. La raffinata ed elegante duchessa apprezzava tantissimo la violetta al punto da coltivarla lei stessa e usare un disegno della medesima come sua firma. L’amore per tale fiore la indusse a richiedere ai frati del Convento dell’Annuciata in Parma di ricavarne un profumo, che inizialmente fu prodotto ad uso esclusivo di Maria Luigia. Ludovico Borsari ottenne poi la ricetta per produrlo industrialmente. La sua iniziativa ebbe successo e in pochi anni la “Borsari” diventò la più grande industria di profumo italiana, conosciuta in tutto il mondo con il marchio Violetta di Parma. Anche nel difficile dopoguerra la Borsari continuò a profumare il mondo femminile, sempre con il marchio Violetta di Parma, forte di un piccolo esercito di donne vestite con grembiuli rosa, che realizzavano il prodotto dalle essenze, agli alambicchi, alla confezione che richiedeva la delicatissima mano d’opera delle mani femminili. La rivoluzione industriale degli ultimi anni non ha risparmiato la “Borsari” che nel 1970 ha sospeso la produzione nella fabbrica di via Trento m, nella vecchia fabbrica è stato allestito nello stesso anno un Museo, il primo del genere in Italia, che raccoglie la storia della “fabbrica del profumo” e della Violetta di Parma.
Ancora oggi questo profumo, caratterizzato da splendide confezioni, è acquistabile nella migliori profumerie di Parma e in selezionatissimi punti vendita della provincia: al produttore Borsari, si è aggiunta “Parmafragrance”, nata nel 1911 grazie a Nadalini Enrico, il quale aprì il suo negozio di profumeria in Via Angelo Mazza 9, proprio nel cuore di Parma. La loro ricetta si differenzia per una sfumatura di profumo più dolce e meno pungente.
http://www.parmacolorviola.com/ita/borsari.html
http://www.violettadiparma.it/
(fonti: parma.repubblica.it; scirocconews.it)
Le scarpette di Sant’Ilario
Le Scarpette di Sant’Ilario sono il dolce tipico emiliano che viene preparato in occasione del patrono della città di Parma, Sant’Ilario, il 13 Gennaio. Attorno a questa ricetta esiste una leggenda: si narra che un ciabattino della città vedendo passare il santo scalzo gli regalò un paio di scarpe, ignaro però di chi egli fosse. In cambio del nobile gesto, il santo fece trovare al ciabattino un paio di scarpe d’oro.
Dosi per 4 persone
Tempo richiesto: 60 minuti
INGREDIENTI:
Farina: 500g
Zucchero: 250g
Burro: 150g
Uova: 4
Limone: 1
Vanillina: 1 bustina
Zucchero a velo: 1 bustina
PREPARAZIONE:
Sbattere 2 uova intere con 2 tuorli e lo zucchero, unire queste alla farina, la vanillina, la scorza grattugiata del limone e il burro ammorbidito. Quando il composto diventa omogeneo, stenderlo ad uno spessore di 5mm e ritagliare dei biscotti a forma di scarpetta. Cuocere le scarpette id San’Ilario, su una teglia rivestita di carta forno, per mezz’ora a 200° .
Servire le scarpette spolverizzandole di zucchero a velo.
L’importanza di essere un buon bicchiere di vino
Il vino è uno dei maggiori segni di civiltà nel mondo. (Ernest Hemingway)
Non serve essere sommelier per apprezzare un buon bicchiere di vino: bianco o rosso, fermo o frizzante, il vino ha l’innata capacità di animare anche i piatti più semplici.
Parliamo delle regioni migliori in quanto a produzione vinicola: il Friuli Venezia Giulia produce un’ampia varietà di vini sia rossi che bianchi e uno di questi sta subendo un’impennata di apprezzamenti soprattutto tra i giovani tra i 25 e i 35 anni.
Si tratta della Ribolla Gialla, che porta il nome del vitigno italiano a bacca bianca autoctono del Friuli-Venezia Giulia, della Slovenia e della Cefalonia, nelle isole Ionie. In ogni sua variante, la Ribolla Gialla è caratterizzata da una buona acidità naturale e da aromi molto freschi, elementi che lo rendono apprezzabile anche, appunto, dal pubblico giovane.
Vivacità ed equilibrio sono i termini che più riassumono questo vino, adatto soprattutto ad accompagnare piatti a base di pesce. Negli ultimi anni si sta inoltre imponendo oltre i confini italiani, confermandosi come un vino di grande interesse internazionale.
Il colore è giallo paglierino dai riflessi verdognoli, meglio se bevuto giovane per apprezzarne al massimo gli ottimi sentori fruttati, mentre se bevuto dopo una maturazione in bottiglia di qualche mese si possono cogliere tutte le caratteristiche peculiari del vitigno da cui proviene.
Da provare: Ribolla Gialla Zuc di Volpe
Il giusto equilibrio
Parliamo di Pasta: Barilla, tramite il proprio account ufficiale di Twitter, consiglia una dose di non più di 80 grammi a persona di pasta in occasione della prima puntata di Master Chef Italia. Cosa ne pensate?
Mangia Leggi Parma ne approfitta per proporre una veloce e gustosa ricetta con poche calorie, ideale per il recupero della forma fisica dopo l’abbondanza delle feste!
CONCHIGLIE SAPORITE ALLO ZAFFERANO
conchiglie 480 g
speck 100 g
panna per cucina 100 g
zafferano, una bustina
prezzemolo
sale
Calorie a porzione 340 – Le dosi son per 6 persone
Preparazione
Mettete al bollire la pasta. Tagliate a dadini lo speck e fatelo cuocere in una padella ben calda senza aggiungere grassi.
Unitevi la panna e, mescolando con un cucchiaio di legno, fatela addensare. Aromatizzatela con il contenuto della bustina di zafferano. Scolate la pasta dopo circa 15 minuti di cottura. Fatela saltare nella padella con il sugo preparato. Tritate finemente le foglioline di un mazzetto di prezzemolo e aggiungetele al tutto.
(fonte: staibene.it)
Accoglienza nello stile Parmamenù
Parmamenù è, prima di tutto, accoglienza, sorrisi e buona cucina emiliana.
La tradizione nel piatto e il rifugio perfetto tra le pareti!
Ci trovate all’interno del Fidenza Village, in via San Michele Campagna, poco dopo l’uscita dal casello autostradale di Fidenza, in piazza Garibaldi, sempre a Fidenza, con il nostro nuovo locale Pica Pica e in borgo Loschi a Salsomaggiore Terme, di fianco alla sede comunale!
Biscotti Pan di Zenzero
Il Natale si avvicina e questa è una tipica ricetta natalizia che viene dal Nord Europa: il pan di zenzero (gingerbread) è un impasto a base di spezie quali cannella, chiodi di garofano, noce moscata, con spiccata prevalenza di zenzero, usato generalmente per confezionare biscotti. Tipico dell’ Inghilterra, Nord America e paesi del Nord Europa, il pan di zenzero viene preparato in special modo sotto le feste natalizie per confezionare omini, casette e soggetti natalizi in genere. I biscotti di pan di zenzero, vengono infine decorati con glassa colorata e tradizionalmente appesi al’albero di Natale.
Ingredienti per 30-35 biscotti:
Farina”00″ – 350 gr
Zucchero – 160 gr
Burro – 150 gr
Uova – 1
Sale – 1 pizzico
Miele – 150 gr (o melassa)
Cannella in polvere – 2 cucchiaini rasi
Noce moscata in polvere – 1/4 di cucchiaino
Zenzero – in polvere 2 cucchiaini rasi
Chiodi di garofano – in polvere 1/2 cucchiaino
Bicarbonato – 1/2 cucchiaino
Ingredienti per la glassa colorata:
Coloranti alimentari a piacere
Zucchero a velo 150 g
Uova – 1 albume
In una capiente ciotola, o nel vaso del mixer setacciate la farina con lo zucchero, aggiungete le spezie e il bicarbonato e in ultimo anche il burro freddo tagliato a tocchetti, aggiungete anche il miele e azionate a media velocità, fino a ottenere un composto bricioloso. In ultimo unite anche l’uovo e impastate ancora qualche istante fino a ottenere una palla. Avvolgete l’impasto di pan di zenzero nella pellicola trasparente e ponetelo in frigorifero per circa 2 ore. Trascorso il tempo necessario, stendete l’impasto con un mattarello fino ad ottenere una sfoglia dello spessore di 4 mm.
Ricavate delle sagome con dei tagliapasta di diverse forme natalizie oppure a forma di omino, ponete su una teglia coperta con carta forno e passate in forno caldo a 180° per circa 10-12 minuti, fino a che saranno dorati. Nel frattempo preparate la glassa montando a neve ferma l’albume e incorporando poco alla volta, sempre sbattendo, lo zucchero al velo; suddividete la glassa in tante ciotoline quanti sono i colori che vorrete usare e aggiungete in ognuna un colorante alimentare. Ponetela in una tasca da pasticcere con la bocchetta liscia e molto stretta, e decorate a piacere i vostri biscotti di pan di zenzero!
(fonte: GialloZafferano)
La pasta cotta a regola d’arte – I consigli di Pasta Gragnano
Per una buona cottura della pasta
Come cuocere la Pasta di Gragnano?
Il sito ufficiale http://www.pastaigragnanesi.it dà le indicazioni adatte ad avere una cottura perfetta.
“Perché tutto il mondo ama la pasta ma la pasta ama la tradizione italiana”!
La quantità d’acqua necessaria è da valutare in relazione alla quantità e alla forma della pasta da cuocere (per i paccheri, ad esempio, ci vuole molta più acqua che per le pennette): il rapporto ideale dovrebbe essere di circa 5 litri per 500 gr. di pasta.
La forma della pentola è importante, perchè deve poter contenere completamente ed immediatamente tutta la pasta al momento in cui la ‘caliamo’ nell’acqua bollente (per cuocere gli spaghetti e tutte le paste lunghe andrebbe meglio una pentola a forma ovale, dove immergere la pasta in orizzontale). Non è sempre necessario ‘rimestare’ la pasta ruvida (perché trafilata al bronzo) durante la cottura: tale operazione, eventualmente, va fatta solo qualche minuto dopo la ripresa dell’ebollizione, avendo cura di utilizzare mestoli e/o forchettoni di legno.
La scolatura della pasta cotta va fatta molto delicatamente, estraendo la pasta dall’acqua (con forchettoni, mestoli forati o mediante il cestello scolapasta già inserito nella pentola) quando è ancora molto al dente per consentire il successivo condimento, completamento della preparazione (per questo è utile conservare un po’ d’acqua di cottura).
Va ricordato infine che la pasta cotta al dente, oltre a conservare meglio i suoi principi nutrizionali, è più adatta ad una degustazione con soddisfazione anche del piacere della ‘palatabilità’ per la sua forma.
Cucina emiliana la migliore al mondo
La notizia arriva dalla rivista americana Forbes: la cucina della regione Emilia Romagna è stata decretata la migliore al mondo.
L’inviato David Rosengarten riporta: “La fantastica regione del centro-nord si trova nella fertile valle del Po”, e prosegue “Quando si cerca di spiegare il fenomeno solitamente si indica lo straordinario numero di prodotti e piatti della regione tra i quali il Parmigiano Reggiano, l’aceto balsamico, il prosciutto di Parma, i tortellini e molto altro. Tuttavia, dopo un recente viaggio in questo paradiso gastronomico, la sensazione è che non sia solo un gruppo specifico di prodotti a contribuire alla reputazione gastronomica della regione. Anche in Emilia-Romagna, come ovunque c’è la cucina creativa: hanno un ristorante stellato Michelin di cucina molecolare, l’Osteria Francescana. Ma sul menù ci sono le tagliatelle alla bolognese. Guardando alla cucina creativa dell’Emilia-Romagna si scopre che molti piatti si basano sull’anima gastronomica della regione. La potente connessione degli chef con la loro patria non può essere abbandonata. Chi si reca in Emilia Romagna di solito si concentra sulle Grandi 5, le città che, come gioielli di un diadema, si trovano lunga l’autostrada principale. Partendo da nord-ovest si trovano Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna, la Grassa, con i suoi ristoranti e le sue simpatie comuniste. Tuttavia il mio viaggio è stato diverso, sono partito dal cuore della regione vinicola, dove si produce il vino perfetto per accompagnare questo tipo di cucina, il Lambrusco. La regione del Lambrusco – conclude il giornalista americano – è una delle ambientazioni rustiche più belle d’Italia, sembra perduta nel tempo, ed è forse il posto migliore per scoprire l’incredibile cibo dell’Emilia-Romagna”.
Thanksgiving Day
Il Giorno del ringraziamento (Thanksgiving Day in inglese) è una festa di origine cristiana osservata negli Stati Uniti d’America in segno di gratitudine per la fine della stagione del raccolto.
Cenni storici:
Questa storica tradizione, in origine di derivazione religiosa ma ora considerata secolare, risale all’anno 1621. Quando fu effettuato il raccolto nel novembre 1623 William Bradford, Governatore della Colonia fondata dai Padri Pellegrini, a Plymouth, nel Massachusetts, emise l’ordine:
« Tutti voi Pellegrini, con le vostre mogli ed i vostri piccoli, radunatevi alla Casa delle Assemblee, sulla collina… per ascoltare lì il pastore e rendere Grazie a Dio Onnipotente per tutte le sue benedizioni. »
I Padri Pellegrini, perseguitati in patria per le loro idee religiose piuttosto integraliste, decisero di abbandonare l’Inghilterra e andare nel Nuovo Mondo, l’attuale America del Nord. 102 pionieri (52 uomini, 18 donne e 32 bambini) imbarcati a bordo della Mayflower, arrivarono sulle coste americane nel 1621, dopo un duro viaggio attraverso l’Oceano Atlantico; durante il viaggio molti si ammalarono e tanti morirono. Quando arrivarono, l’inverno era ormai alle porte; si trovarono di fronte ad un territorio selvatico e inospitale, fino ad allora abitato solo da nativi americani. I Pellegrini avevano portato dall’Inghilterra dei semi di vari prodotti che si coltivavano in patria e li seminarono nella terra dei nuovi territori; vuoi per la natura del terreno, vuoi per il clima, la semina non produsse i frutti necessari al sostentamento della popolazione, per cui quasi la metà di loro non sopravvisse al rigido inverno. Questa situazione rischiava di riproporsi anche l’anno successivo se non fossero intervenuti i nativi americani (gli indiani) che indicarono ai nuovi arrivati quali prodotti coltivare e quali animali allevare, nella fattispecie il granturco ed i tacchini. Dopo il duro lavoro degli inizi, i Pellegrini indissero un giorno di ringraziamento a Dio per l’abbondanza ricevuta e per celebrare il successo del primo raccolto. I coloni invitarono alla festa anche gli indigeni, ai quali dovevano molto se la loro comunità aveva potuto superare le iniziali difficoltà di adattamento nei nuovi territori, gettando le basi per un futuro prospero e ricco di ambiziosi traguardi. Nel menù di quel primo Ringraziamento americano ci furono pietanze che divennero tradizione per le feste – in particolare il tacchino e la zucca – insieme ad altre carni bianche, carne di cervo, ostriche, molluschi, pesci, torte di cereali, frutta secca e noccioline.
Ogni Paese ha le sue ricorrenze e oggi è Thanksgiving americano (che si festeggia ogni anno il quarto giovedì di novembre): è un’occasione per gustare uno dei piatti tipici della tradizione americana.
Una sola precisazione: gli americani durante questa ricorrenza usano mastodontici tacchini, che difficilmente potrebbero accordarsi con le nostre esigenze famigliari e le dimensioni dei nostri forni. Per questo, nella ricetta qui proposta viene utilizzata una tacchinella di dimensioni normali.
Tacchino ripieno all’americana
Ingredienti:
1 tacchinella
100 gr di
1 cipolla piccola
50 gr di burro
3 cucchiai di mais dolce
7 prugne secche senza nocciolo
5 fette di pancarré
1 tazzina da caffè di latte
Prezzemolo tritato
Olio
Sale
Pepe
Procedimento:
Tritare nel mixer il bacon con la cipolla, mettere il tutto in una padella con il burro, il mais e le prugne e far rosolare. Fuori dal fuoco, aggiungere il pancarré tagliato a pezzetti, il latte, sale e pepe e il prezzemolo; mescolare bene e farcire l’interno della tacchinella dopo averla lavata. Cucire la tacchinella, metterla in una teglia unta d’olio, coprirla con alluminio e metterla a cuocere in forno a 180-200° per 1 ora e mezzo o 2. A cottura ultimata, togliere dal forno e porzionarla. Servire la carne accompagnata da una cucchiaiata di farcia.
(fonte: http://benedettaparodiblog.corriere.it/2011/11/23/tacchino-ripieno-allamericana/)
Il vino fai da te
Dagli Stati Uniti arriva l’apparecchio per farsi il vino in casa. Si chiama WinePod e assomiglia a uno shaker di circa 1,2 metri. Basta inserire le uve e dopo qualche mese è possibile raccogliere l’equivalente di 48 bottiglie di vino. Il WinePod costa circa 4500 dollari ma probabilmente non arriverà mai sul mercato europeo. Il suo inventore, l’americano Greg Snell, ha deciso di puntare tutto sul mercato cinese. Anche se per molti analisti la crescita di una cultura vitivinicola in Cina potrebbe essere un ostacolo non indifferente.
(fonte: Italia Oggi)
Sempre in tema vino, in Francia un produttore di biodinamico rischia fino a 30mila euro di multa e 6 mesi di reclusione per non aver eseguito il trattamento obbligatorio contro la flavescenza dorata. Il caso, che contrappone le ragioni di prevenzione sanitaria delle autorità locali e quelle del singolo viticoltore che non vuole mandare a monte il lavoro attuato per arrivare alla produzione biodinamica pura, potrebbe costituire un importante precedente. (fonte: Wine News)
Bontà di Parma
BREVI CENNI STORICI DEL CELEBRE FORMAGGIO DI PARMA:
Le origini di questo formaggio risalgono al Medioevo e vengono generalmente collocate attorno al XII secolo.
Boccaccio nel Decamerone dimostra che già nel 1200-1300 il Parmigiano-Reggiano aveva raggiunto la tipizzazione odierna, il che spinge a supporre che le sue origini risalgano a diversi secoli prima. Non è escluso che la ricetta sia analoga a quella di un formaggio lodigiano (il Granone Lodigiano) a pasta dura che talvolta troviamo citato di sfuggita nelle fonti romane.
Storicamente la culla del parmigiano Reggiano fu nel XII secolo. Accanto ai grandi monasteri e possenti castelli in cui comparvero i primi caselli: piccoli edifici a pianta quadrata o poligonale dove avveniva la lavorazione del latte. I principali monasteri presenti tra Parma e Reggio erano quattro: due benedettini (San Giovanni a Parma e San Prospero a Reggio) e due cistercensi (San Martino di Valserena e Fontevivo, entrambi nel parmense).
Per avere dei prati con buone produzioni da destinare all’allevamento di bestiame di grossa taglia sia quale forza motrice, sia quale fonte di fertilizzante, era necessario avere terreni con abbondanza d’acqua e non è un caso che le maggiori praterie si formassero là dove c’era abbondanza di acqua sorgiva: a Parma nell’area a nord della città e in quella di Fontanellato-Fontevivo; mentre a Reggio il territorio più ricco d’acqua era tra Montecchio Emilia e Campegine (quest’ultima zona era allora soggetta a Parma).
Nel parmense poi, grazie alle saline di Salsomaggiore, era presente, a differenza di altre città, il sale necessario per la trasformazione casearia.
Il Parmigiano-Reggiano si è rapidamente diffuso nell’attuale comprensorio situato a sud del Po, nelle province di Parma, Reggio nell’Emilia e Modena, toccando anche parte delle province di Bologna e Mantova.
Un pezzo di storia salsese
Da poco più di un anno, ha compiuto i primi 50 anni di attività: nel febbraio 1962 apriva quello che sarebbe diventato un indiscusso punto di riferimento per la pasticceria artigianale non solo locale ma di tutto il territorio.
La pasticceria Tosi nasce a Salsomaggiore Terme da Renzo e Bruno Tosi, fratelli che venivano da due esperienze lavorative diverse ma che decisero di rilevare un’attività dolciaria già avviata, riversandoci speranze e professionalità.
«Salso era nel pieno del suo periodo storico più luminoso – spiega Renzo Tosi, ancora impegnato nella gestione dell’attività insieme alla moglie e alle due figlie, Michela e Lorenza – così io e mio fratello decidemmo di acquistare questa bottega che, dopo 50 anni, rimane la nostra sede».
La pasticceria, in effetti, ancora si trova lungo l’anello del Parco Mazzini, riparato dagli ippocastani e in prossimità del centro storico: passeggiando su viale Matteotti è possibile essere colpiti dalle fragranze del laboratorio.
È nel 1965 che nacque la famigerata Focaccia, il prodotto più conosciuto e apprezzato, esportato addirittura in altri paesi europei: «L’idea fu quella di destagionalizzare il panettone che, a quei tempi, non andava più di moda – ricorda il pasticcere – Cambiai l’impasto, utilizzando solo ed esclusivamente prodotti di prima qualità come, ad esempio, frutta candita sempre prodotta nel nostro laboratorio, tagliata a mano in pezzi grossi. Anche il lievito madre è di nostra produzione e vive dentro l’azienda da 50 anni».
Da pochi anni, la Focaccia di Tosi vanta anche una nuova edizione, fatta di cioccolato e rhum, più adatta quindi al pubblico giovane, che è andata ad affiancarsi ad altri prodotti storici quali gli Amaretti, i Brutti ma Buoni, i Savoiardi fatti a mano, i pasticcini e le brioches.
«Anche per noi il mestiere è cambiato: oggi si fa più fatica a capire le esigenze del consumatore, a cui si aggiungono le problematiche derivanti, ovviamente, dalla crisi. Ma, nonostante le leggi di mercato siano impietose, non abbiamo mai ceduto alle lusinghe delle materie prime a minor prezzo perché la qualità è in assoluto più importante».
Alla domanda su cosa contraddistingua da sempre la pasticceria Tosi, la risposta è una soltanto: «Professionalità, pulizia e sorriso».
Celebre in tutto il mondo
È il prodotto tipico delle Terre matildiche che si estendono tra la via Emilia e il letto del fiume Enza. È celebre in tutto il mondo e si contraddistingue oltre per le peculiarità nutrizionali anche per la “corona”, il marchio che viene impresso a fuoco solo sull’originale.
CHE COS’È?
CENNI STORICI:
La tradizione plurisecolare degli insaccati risulta ordinata, come attività a sé stante, solo alla fine del Medioevo, dall’Arte dei Lardaroli, originatasi per specializzazione dalla più forte Arte dei Beccai. Ma la fama del Prosciutto di Parma, esclusiva specialità dei lardaroli Parmensi, affonda le sue radici in tempi ancor più lontani, all’epoca romana. Parma, allora situata nel cuore di quella che era la Gallia Cisalpina, era rinomata, come ricorda Varrone nel De Re Rustica, per l’attività dei suoi abitanti che allevavano grandi mandrie di porci ed erano particolarmente abili nel produrre prosciutti salati. Lo stesso Catone delinea già nel II secolo a.C., nel suo De Agricoltura la tecnologia di produzione, sostanzialmente identica all’attuale. Risalendo il corso dei secoli, del prosciutto e della tecnica di preparazione parlarono Polibio, Strabone, Orazio, Plauto e Giovenale. John B. Dancer scrive che quando Annibale nel 217 a.C. entrò in Parma e fu accolto come liberatore, gli abitanti per festeggiare gli offrirono delle cosce di maiale conservate sotto sale dentro dei barili di legno che lui apprezzò moltissimo. Riferimenti gastronomici al Prosciutto di Parma si trovano nel libro de Cocina della seconda metà del Trecento, nel menu delle nozze Colonna del 1589, nel prezioso testo del Nascia, cuoco di Ranuccio Farnese nella seconda metà del XVII secolo. Il Prosciutto fa capolino tra le rime del Tassoni e nei consigli dietetici del medico bolognese Pisanelli. Il Primo Ministro di don Filippo di Borbone, Guglielmo Du Tillot, aveva studiato un piano per la realizzazione, a Parma, di due macelli per suini, per valorizzare ed incrementare la locale industria dei salumi. Lo sviluppo di questa tradizione fu senz’altro influenzato dalla presenza nella zona di Parma di sorgenti saline come ad esempio quelle di Salsomaggiore La primitiva fase, interamente artigianale, si è progressivamente sviluppata fino ai nostri giorni verso un processo di industrializzazione che, migliorando sensibilmente le condizioni igieniche, ha saputo mantenere intatte le caratteristiche tradizionali del prodotto.
ORIGINE DEL NOME:
Nel territorio parmense in dialetto locale il termine “prosciutto” si dice “pàr-sùt”, cioè “sembra asciutto”, a causa della stagionature della carne che, oltre ad arricchirsi di una percentuale di sale, perde molta acqua ed in questo modo la carne si asciuga, “pèra sùta”, “sembra asciutta”. Altra scuola di pensiero vuole che il nome venga dal latino Perex Suctum che significa “prosciugato”, tale teoria viene avvalorata rispetto alla precedente dal fatto che il dialetto Parmigiano e con essa la parola “pàr-sùt” è senz’altro più giovane del prodotto “prosciutto”. Inoltre quest’ultima teoria è stata adottata ufficialmente dal consorzio Prosciutto di Parma.
PRODUZIONE:
Il Prosciutto di Parma conta su circa 200 produttori concentrati nella parte est della provincia di Parma, in particolare nella zona di Langhirano. Le fasi di allevamento e ingrasso degli animali nonché il trattamento e la stagionatura successivi sono regolati e garantiti dal consorzio. Vengono usate solo cosce di grande peso (fresche pesano tra i 12 e i 13 kg). Viene anche chiamato prosciutto dolce in quanto viene aggiunta una bassa quantità di sale durante la lavorazione. La salatura è accompagnata da un breve periodo di riposo in celle frigorifere e seguita dal cospargimento di un grasso surrenale pregiato, la sugna, ricavata dal maiale. Questo garantisce una lenta asciugatura, così che il produttore può stagionare la coscia per lungo tempo (minimo 12 mesi), aggiungendo poco sale. A stagionatura completata, il prodotto disossato dovrebbe uscire sul mercato con un peso compreso tra i 7 kg e gli 8 kg, mentre il prodotto con osso dovrebbe pesare tra i 9,5 kg e i 10,5 kg. I Prosciutti di Parma con un peso che si discosta molto da quelli appena menzionati, hanno un valore commerciale inferiore.
(fonte: Wikipedia)
- ← Precedente
- 1
- …
- 6
- 7
- 8
- …
- 10
- Successivo →





